Giù le mani dalla Costituzione!

L’articolo 138 della nostra Costituzione ne prevede e regolamenta la modifica: è possibile modificare la Costituzione purché la legge di revisione sia votata  col testo identico per due volte da ognuna delle due Camere, con un intervallo di almeno tre mesi da una votazione all’altra e con la maggioranza assoluta dei componenti. Inoltre se alla seconda votazione non si raggiunge i due terzi dei componenti di una delle Camere è possibile chiedere il referendum costituzionale confermativo, per il quale non è necessario il quorum del 50% del corpo elettorale (necessario invece per il referendum abrogativo delle leggi ordinarie)

Questa procedura è stata definita dai Costituenti per rendere modificabile la Costituzione ancorché con una procedura aggravata che la rende “rigida”.

Il problema è che questo sistema non è funzionale ad un cambiamento profondo della Costituzione, ma solo a piccole correzioni.

Male fece il Parlamento nel 2001 quando stravolse il titolo V, cambiando profondamente il rapporto tra lo Stato ed il sistema delle autonomie.

Il fatto è che la Costituzione del ’48 cercò di rappresentare in modo fedele e puntuale la complessità e delle culture politiche italiane, tenendo conto della frammentarietà sociale e territoriale del popolo italiano. L’idea era quella di rappresentare puntualmente la società senza consentire ad un’organizzazione di dominare il sistema ammutolendo le componenti che si opponevano. Da quel sistema partì la Prima repubblica, che in un sistema di negoziazione continua riuscì a portare l’Italia prima a rialzarsi dalla guerra e poi alla condizione di partecipante al consesso dei sette grandi del pianeta.

Il pezzo di società che i costituenti avevano sconfitto, i fascisti e quella parte di italiani che con la loro indifferenza avevano consentito il fascismo, pur sconfitta permaneva viva e vegeta, anche grazie alla profonda inimicizia che gli Stati Uniti nutrivano e nutrono per i comunisti e i socialisti. Inimicizia che aveva fatto sì che gli Americani decidessero di assoldare nella loro opera di condizionamento del nostro Paese prima gli esponenti dello stato fascista che apparivano recuperabili (e desiderosi di essere recuperati), poi ragazzi cresciuti nel mito del Fascismo, disposti a “difendere il paese dal Comunismo” raccolti nella struttura ” stay behind” resa pubblica ai tempi della presidenza di Francesco Cossiga.

Questi militanti politici disposti a prendere le armi in caso di vittoria comunista alle elezioni in Italia costituivano una sorta di partito fascista clandestino, promosso nascostamente dagli USA, che, in forme diverse e con diverse complicità, ha operato in Italia per tutto il dopoguerra, collaborando al bisogno anche con la criminalità organizzata, per l’eliminazione di personaggi che fossero scomodi per gli USA , o per la criminalità organizzata, o per quel pezzo di potentato economico italiano che trovò nella P2, ma non solo, un luogo di sintesi degli interessi.

Questo blocco di interessi non accettò mai il progetto che i costituenti avevano definito nella Carta costituzionale e spinse continuamente per operare delle modifiche che, come si disse negli anni ’80, consentissero la “governabilità”.

La storia italiana conosce molteplici tentativi di modifica del Sistema, volti a irrobustire la posizione del governo, a spese degli altri organismi intermedi, che trovava la camera di compensazione nel Parlamento come definito dai costituenti,

Falliti i tentativi di cambiare da un punto di vista formale gli equilibri, si riuscì a modificarli con la trasformazione in senso maggioritario del sistema elettorale parlamentare.

In questo modo si riuscì a stabilizzare il governo a spese del Parlamento, ridotto a fare di volta in volta la cassa di risonanza o il capo espiatorio – ammortizzatore dell’Esecutivo.

In effetti il Parlamento definito dai costituenti era il fulcro del sistema, il luogo di realizzazione della sovranità popolare, modificando la sostanza di questo, sì riuscì a modificare il sistema senza toccare formalmente in profondità la Costituzione.

Per i fautori della “governabilità” il parzialmente problema rimase,  per la difficoltà di dare al Senato un sistema di elezione maggioritario utile a neutralizzarlo così come era avvenuto per la Camera dei deputati. Durante la diciassettesima legislatura il governo Renzi provo a risolvere il “problema” togliendo al Senato della Repubblica il potere di accordare  la fiducia al Governo

Ma la volontà del potere economico italiano di disporre di un ceto politico “servizievole”  e libero di muoversi utilmente, quella volontà non si è quietata. Esiste ancora un potere dello Stato  riconducibile appieno alla volontà della classe dominante: la Magistratura.

D’altro canto costituire la Magistratura come potere autonomo nasce dal pensiero illuminista per far sì che il potere non si concentri ed evitare che esso possa muoversi senza limiti.

I magistrati sono uomini e come tali singolarmente possono essere condizionati, o uccisi (purtroppo è storia) quando effettuano scelte eccessivamente sgradite al potere economico, al potere politico, al potere mafioso, Poteri che, si ricorda, non sempre sono in competizione tra loro.

La magistratura nel suo insieme comunque è un ostacolo, un limite alla assolutezza del potere.

Il partito di maggioranza relativa che sostiene questo governo è indubitabilmente l’erede  universale di quella parte del Paese che non ha mai accettato la Costituzione del ‘48, ed ha lottato per anni per osteggiarne gli obiettivi.

I legami con poteri paralleli italiani e stranieri, oggi descritti da un’ampia bibliografia, hanno consentito a costoro di continuare a sussistere in barba alla XII Disposizione transitoria della Costituzione e alla legge attuativa, la n.645 del 1952, nota come legge Scelba, che punisce chiunque promuova o organizzi un’associazione che persegue le finalità antidemocratiche proprie del disciolto partito fascista.

Oggi dalla posizione di governo con una serie mirata di revisioni costituzionali il tentativo di squinternare la Costituzione appare evidente: da una parte l’ulteriore blindatura dell’esecutivo con la riforma indicata come “Premierato”, dall’altra parte la sterilizzazione della Magistratura con una serie di riforme che ne minerebbero l’autonomia a cominciare dalla separazione delle carriere, contrabbandata come strumento indispensabile per separare la funzione della pubblica accusa da quella del giudice, senza considerare che l’attuale ordinamento prevede già tutta una serie di efficaci strumenti di separazione delle funzioni, per altro egregiamente evidenziati nell’attività di divulgazione di studiosi e magistrati autorevoli.

È appena il caso di notare che a fronte di un garantismo peloso nei confronti dei reati tipici dei “colletti bianchi”, gli esponenti di “Fratelli d’Italia” diventano ferocemente giustizialisti nei confronti dei reati messi in atto da delinquenti provenienti dagli Stati socialmente più svantaggiati.

L’obiettivo del “tirare diritto” della  Premier e del suo partito è chiaro: sottrarre chi governa (e i gruppi dirigenti che l’appoggiano) ai controlli democratici necessari per ogni stato liberale che si rispetti.

Il momento è particolarmente pericoloso, considerato che il paese più potente del blocco occidentale è oggi in mano a una persona insofferente ad ogni controllo, anche a quello elettorale, visto che Dopo aver perso la precedente tornata elettorale non ha esitato a promuovere al palazzo del Congresso

Intanto noi non ci rassegniamo ad accettare questa corrente autoritaria che pare espandersi nel mondo e ci prepariamo un’altra volta a difendere la Costituzione antifascista.

Afascismo

Ogniqualvolta nell’attuale dibattito politico italiano qualcuno lancia un allarme fascismo si trova qualche esponente della Destra politica (o giornalistica) pronto a negare l’allarme: il fascismo sarebbe finito alla fine della seconda guerra mondiale.

Tale affermazione è infondata. Meloni e FDI sono obiettivamente gli eredi del Fascismo per il tramite del #neofascismo degli anni ’60 e’70, riferimento per tanti dei loro elettori.

Però, a mio avviso, Meloni non attribuisce al Fascismo storico più importanza di tanto: non può condannarlo nettamente per non perdere  seguito, ma non ne trae diretta ispirazione. Certo non ideologica, quanto meno.

Come potrebbe, d’altronde, trarre ispirazione dal nulla? Qual era l’ideologia fascista? Il Fascismo collezionava al suo interno visioni, posizioni e comportamenti diversissimi e a tratti contraddittori. Solo il culto della personalità del Duce faceva da collante. Ricordate? “Mussolini  ha sempre ragione”. Per questo la figura di Mussolini è così importante per i fascisti: cosa c’era oltre quello?

Però in effetti un culto della personalità (in miniatura ma coltivato con impegno)  riguarda anche Meloni, che – obiettivamente – spicca senza particolare fatica nella compagine governativa che cerca di guidare.

In effetti c’era un tratto caratterizzante il fascismo: il netto rigetto di tutte le forme di  socialismo e di ogni forma di conflitto di classe mirante ad un cambiamento degli equilibri della società. Ma tale rifiuto non definisce il fascismo, se non per il fatto che l’azione fascista a difesa dei poteri economici consolidati era ostentatamente violenta.

L’anticomunismo/antisocialismo è patrimonio comune ed essenzialmente inscindibile della “società dei mercati”. La socialdemocrazia è stato un esperimento interessante (e sospettosamente monitorato) ma  – mi chiedo – sarebbe stato possibile senza l’esistenza dell’Unione sovietica? Certo non le è sopravvissuto.

Tornando a Meloni, il suo dichiarato “afascismo”, all’insegna di una pragmatica quanto interessata acquiescenza agli interessi americani e delle oligarchie internazionali, si sostanzia in un approccio formalmente perbenista, epperò non rassicura: in primis perché promuove la crescita nella società di istanze francamente violente (verbali ma non solo) avvelenando il dibattito politico e in secondo luogo perché continua a premere sui pilastri dell’architettura costituzionale del Paese, in primo luogo la tripartizione liberale dei poteri, promuovendo forme di democrazia autoritaria in cui il governo in quanto derivante dall’investitura elettorale sarebbe  al di sopra delle leggi – legibus solutus.

D’altronde  gli spunti di questa Impostazione si evincono già da diverse norme del decreto sicurezza, a cominciare da quell’art.31 che consente ai servizi di intelligence nazionali di compiere determinati reati, inclusa la direzione di associazioni terroristiche in operazioni sotto copertura, senza incorrere in sanzioni penali, come se in Italia non ci fosse mai stata una strategia della tensione.

Per non parlare dell’aggressione alla magistratura costituita dalla riforma Nordio.

D’altronde, al di là delle proteste e delle rassicurazioni del ministro della giustizia, la postura di questi nei confronti, della magistratura sia nazionale (sia internazionale – vedi caso Almasri) non lascia spazio e grandi dubbi, al di là dell’afflato garantista (limitato però ai colletti bianchi) di coloro che ricercano nella separazione delle carriere la piena realizzazione del processo accusatorio e con questo pensano di risolvere i problemi della giustizia italiana.

Tornando all’afascismo – una sorta di non fascismo non antifascista – questo presenta tutte le componenti dell’essenza più profonda del fascismo: protezione del potere economico dalle rivendicazioni di classe, fino alla obliterazione del conflitto democratico con un ostentato vittimismo che giustifichi l’impiego di norme contro le protesta,  estrema flessibilità delle pratiche e dei valori per adattarsi alla mutevolezza dei contesti e poi il collante, essenziale: il culto della personalità del leader, reso iconico dalla propaganda.

Il disegno della nostra Costituzione non è mai stato tanto in pericolo.

Il punto di equilibrio.

Quando nel ‘47 la Costituente elaborò la nostra Carta si era creato un equilibrio, forse irripetibile, di scienza e di coscienza, di motivazione a cercare la giusta misura tra la necessità di governare una società già allora complessa e la necessità di governarla senza che una parte obliterasse le ragioni delle altre parti. Il prodotto fu un buon prodotto. Non è che piacesse tutto a tutti, ma si era raggiunto un compromesso alto tra i liberali e comunisti, tra i cattolici e i laici, tra i monarchici e i repubblicani, tra coloro che non si sentivano antifascisti (Ma erano abbastanza opportunisti per non esprimere la loro posizione) e coloro che avevano fatto della lotta al Fascismo la propria ragione di vita.

Gli italiani avevano trovato un punto di equilibrio, che era si un punto da cui tirare verso la propria parte, ma era un punto comune: la Costituzione della Repubblica Italiana del ‘48 non era, come ogni prodotto umano esente da difetti, Il punto è che i difetti individuati da alcuni per altri erano pregi.

Nonostante la divisione dei poteri, per esempio, il Parlamento aveva un controllo diretto o indiretto su tutti gli altri poteri ed organi istituzionali. Inoltre la società civile attraverso i partiti e i sindacati pesava e pesava tanto!

Il potere del Parlamento si confrontava di continuo col potere del Governo, che per effetto della sua connessione col Parlamento attraverso i partiti era controllato da una parte e controllante dall’altra.

La distinzione tra Parlamento e Governo si fondava in buona misura sulla autonomia dei parlamentari, eletti col sistema proporzionale e le preferenze.

Il tentativo di divincolare il governo dal controllo parlamentare segue tutta la storia della Repubblica, da sempre in tanti hanno criticato il sistema di formazione delle decisioni pubbliche, che avveniva soprattutto in ambito partitico, ma che in Parlamento aveva un momento di ineliminabile incremento di trasparenza.

E la trasparenza nei processi decisionali pubblici non è interesse di tutti; è interesse della maggioranza dei cittadini meno influenti.

La trasformazione del sistema elettorale in sistema maggioritario, in più a turno unico, ha d’emblée stravolto gli equilibri: ha ingigantito Il potere delle segreterie di partito e snaturato il Parlamento rendendolo di volta in volta la cassa di risonanza o il mezzo di ammortizzazione politica delle scelte governative, a seconda della bisogna.

L’unico elemento che un po’ sfugge di fatto al nuovo equilibrio è il Senato, che per la base regionale dell’elezione rende impossibile una maggioranza blindata così come avviene alla camera. In Senato infatti è impossibile attribuire un premio di maggioranza unico per tutto il Paese. Per inciso, per una questione legata al differente numero di eletti per regione e all’orientamento di alcune  regioni più grandi, il Senato risulta molto più “ribelle”, quando vince il centro-sinistra.

Ciò ha costituito il motivo della riforma Renzi – Boschi, che sappiamo com’è andata a finire.

Possiamo dire che ogni volta che si è messo mano alla costituzione del 48, si è lavorato come dei muratori scadenti impegnati a “restaurare” una facciata monumentale: le modifiche si vedono e sono brutte e deturpanti,  anche da un punto di vista stilistico. Le persone come Concetto Marchesi oggi girano al largo, o sono tenute distanti, dalla politica istituzionale.

Quando le modifiche sono state più importanti come la riforma del Titolo V(approvata dal centro-sinistra)  il danno è stato più che proporzionale, ne vediamo i risultati a tutt’oggi e di questi risultati paventiamo gli sviluppi nei progetti di autonomia differenziata.

Intanto si continua a lavorare a “riforme” – che sarebbe utile chiamare correttamente col termine tecnico più sobrio di “revisioni” della Costituzione – che continuano a stirare quel povero punto di equilibrio del ’48 in direzione meno anti tirannica (o se si preferisce meno antifascista). Arrivando alla fine a snaturare il lavoro dei Costituenti, fino a rendere esigua quella tripartizione equilibrata dei poteri, che è uno dei tesori lasciatici dalla cultura illuminista e dalla Rivoluzione francese.

Andando alla noce della questione il potere esecutivo mal tollera i controlli: riesce a mascherarsi da democrazia grazie a una stampa amica, e a mostrarsi come emanazione della volontà popolare, dove il popolo è vittima di un drammatico “errore motivo” indotto dalla propaganda, ma avverte la pressione del controllo di legalità espresso dalla Magistratura, in quanto la Magistratura ha gli strumenti tecnici per restare immune dalla propaganda.

Intendiamoci, i magistrati non vivono su Marte, tra I magistrati abbiamo avuto dei martiri laici (e ne abbiamo avuti tanti – troppi) ma abbiamo avuto anche delle persone che con gli altri poteri ci hanno convissuto profittevolmente. Però il magistrato ha nella legge e nelle norme costituzionali una fonte di potere in buona parte indipendente e autonomo dalla politica e in quanto tale per certa politica è un problema. Problema che questo governo sta cercando di neutralizzare.

Alcuni fautori della separazione delle carriere i magistrato inquirente e di magistrato giudicante segnalano comprensibilmente le criticità di una vicinanza tra soggetti che espletano le due differenti funzioni. Tali criticità andrebbero sicuramente curate, come tanti ottimi studiosi e ottimi magistrati hanno segnalato in più occasioni. Mi pare però che i fautori “ingenui” (in senso etimologico) della separazione delle carriere non abbiano ponderato accuratamente gli esiti ultimi di questa separazione, resi prevedibili dall’operato quotidiano di questo governo: la sterilizzazione del controllo della Magistratura sulla politica e soprattutto sull’esecutivo.

E tale sterilizzazione avrebbe un effetto devastante su tutto il sistema, avvicinandoci drammaticamente all’esperienza ungherese o peggio ancora russa. Gli equilibri sono roba fragile e gli Stati Uniti con Trump lo stanno sperimentando.

 

Disturberemo il manovratore.

La Costituzione repubblicana approvata dalla Costituente ed entrata in vigore nel 1948 è il risultato travagliato di una difficile sintesi , un equilibrio tra diverse culture italiane quella cattolica, quella liberale quella socialista e quella qualunquista, la quale fu un po’ il modo in cui quegli italiani, che avevano appoggiato il fascismo da posizioni defilate, erano rappresentati nella Costituente.

Un equilibrio fragile e destinato a subire attacchi continui non appena le condizioni si fossero modificate.

Certo è che se nei settantacinque anni di vigenza della Costituzione l’attenzione spesa per la sua riforma fosse stata impiegata per la sua applicazione, l’Italia oggi sarebbe un paese diverso.

Appare evidente che le modifiche della Costituzione apportate nel tempo l’abbiano resa meno coerente, meno leggibile e meno efficace rispetto agli obiettivi che si proponeva: una società in cui la politica si esprimesse non solo negli organismi istituzionali, ma anche nella partecipazione negli organismi intermedi. Una società in cui l’indifferenza, che tanti danni aveva creato nei decenni precedenti la seconda guerra mondiale fosse sostituita dalla partecipazione dei cittadini.

I tentativi di modifica della Costituzione – e soprattutto gli ultimi – sono stati tesi a ridurre il controllo parlamentare sul governo e a riduzione le occasioni di partecipazione popolare.

Tutto questo si inserisce nel flusso coerente che ha prodotto la legge sulla regolamentazione – affievolimento del diritto di sciopero e, soprattutto, la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario.

La nostra Costituzione In effetti ha un bug: la divisione dei poteri prevista dall’ideologia illuministico liberale è resa in modo imperfetto: il Parlamento ha una funzione sovraordinata rispetto agli altri organi costituzionali, con fortissime attribuzioni di controllo sia sul potere esecutivo sia su quello giudiziario.

Questo perché il Parlamento, eletto direttamente sarebbe l’attuatore della sovranità che, recita l’art. 1, “appartiene al Popolo”. Ma questa impostazione funzionava fino alla riforma del sistema elettorale in senso maggioritario Eletto col sistema proporzionale il Parlamento era una rappresentazione fedele degli orientamenti popolari.

Il Parlamento eletto con il maggioritario, invece, istituisce un’immedesimazione tra volontà parlamentare e volontà del governo tanto forte da sostanziarsi in una liberazione del Governo dal controllo parlamentare, anzi nella trasformazione del Parlamento in una cassa di risonanza della volontà della maggioranza di governo, oltre che di un ammortizzatore capace di catalizzare su di sé la responsabilità delle scelte governative.

L’unica criticità in questo asservimento del parlamento al governo fino adesso è stata costituita dal meccanismo di elezione del Senato della Repubblica, che essendo effettuata per Costituzione su base regionale non garantisce una maggioranza uguale a quella della Camera, eletta su base nazionale. Infatti in tutte le legislature dal ’94 in poi le preoccupazioni dei governi si sono sempre focalizzate sul Senato in cui le maggioranze erano meno stabili e più risicate.

A questo punto coi partiti alleggeriti dalle ramificazioni territoriali e la rappresentanza parlamentare allontanata dai territori anche per la riduzione del numero dei parlamentari il governo è già arbitro mal controllato del gioco politico.

Per metterlo al riparo da scossoni e assolutamente fuori controllo serve soltanto depotenziare la Presidenza della Repubblica e sterilizzare la possibilità che il Parlamento tolga la fiducia.
Se entrasse in vigore la proposta di revisione costituzionale del governo Meloni, il Premier verrebbe eletto insieme al Parlamento (votato con la stessa scheda – come già i sindaci) ed i partiti che gli sono collegati otterrebbero il 55% dei seggi, anche se alle urne non avessero la maggioranza assoluta.

A questo punto, superando la sensazione di deja vu nel Ventennio, viene spontanea una domanda: con un architettura siffatta, quanto conta la volontà di un cittadino?

Basta guardare a quello che hanno prodotto i governi “stabili”: peggioramento delle pensioni, partecipazioni a guerre non volute dalla maggioranza dei cittadini, mancata lotta all’inflazione, mancata cura del territorio e contemporanei tentativi di mettere in cantiere opere faraoniche come il Ponte sullo Stretto di Messina. E tutto questo senza il rischio di essere ‘mandati a casa”.

Con la riforma Meloni si eliminerebbe anche la pallida possibilità che di fronte ad un disastro conclamato i parlamentari sfiducino il governo, inducendo il Presidente della Repubblica a nominare un altro Presidente del Consiglio.

È quello che vogliono gli italiani?

Se questa maggioranza approvasse questa revisione della Costituzione, lo vedremo al referendum.
Noi voteremo NO.