Disturberemo il manovratore.

La Costituzione repubblicana approvata dalla Costituente ed entrata in vigore nel 1948 è il risultato travagliato di una difficile sintesi , un equilibrio tra diverse culture italiane quella cattolica, quella liberale quella socialista e quella qualunquista, la quale fu un po’ il modo in cui quegli italiani, che avevano appoggiato il fascismo da posizioni defilate, erano rappresentati nella Costituente.

Un equilibrio fragile e destinato a subire attacchi continui non appena le condizioni si fossero modificate.

Certo è che se nei settantacinque anni di vigenza della Costituzione l’attenzione spesa per la sua riforma fosse stata impiegata per la sua applicazione, l’Italia oggi sarebbe un paese diverso.

Appare evidente che le modifiche della Costituzione apportate nel tempo l’abbiano resa meno coerente, meno leggibile e meno efficace rispetto agli obiettivi che si proponeva: una società in cui la politica si esprimesse non solo negli organismi istituzionali, ma anche nella partecipazione negli organismi intermedi. Una società in cui l’indifferenza, che tanti danni aveva creato nei decenni precedenti la seconda guerra mondiale fosse sostituita dalla partecipazione dei cittadini.

I tentativi di modifica della Costituzione – e soprattutto gli ultimi – sono stati tesi a ridurre il controllo parlamentare sul governo e a riduzione le occasioni di partecipazione popolare.

Tutto questo si inserisce nel flusso coerente che ha prodotto la legge sulla regolamentazione – affievolimento del diritto di sciopero e, soprattutto, la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario.

La nostra Costituzione In effetti ha un bug: la divisione dei poteri prevista dall’ideologia illuministico liberale è resa in modo imperfetto: il Parlamento ha una funzione sovraordinata rispetto agli altri organi costituzionali, con fortissime attribuzioni di controllo sia sul potere esecutivo sia su quello giudiziario.

Questo perché il Parlamento, eletto direttamente sarebbe l’attuatore della sovranità che, recita l’art. 1, “appartiene al Popolo”. Ma questa impostazione funzionava fino alla riforma del sistema elettorale in senso maggioritario Eletto col sistema proporzionale il Parlamento era una rappresentazione fedele degli orientamenti popolari.

Il Parlamento eletto con il maggioritario, invece, istituisce un’immedesimazione tra volontà parlamentare e volontà del governo tanto forte da sostanziarsi in una liberazione del Governo dal controllo parlamentare, anzi nella trasformazione del Parlamento in una cassa di risonanza della volontà della maggioranza di governo, oltre che di un ammortizzatore capace di catalizzare su di sé la responsabilità delle scelte governative.

L’unica criticità in questo asservimento del parlamento al governo fino adesso è stata costituita dal meccanismo di elezione del Senato della Repubblica, che essendo effettuata per Costituzione su base regionale non garantisce una maggioranza uguale a quella della Camera, eletta su base nazionale. Infatti in tutte le legislature dal ’94 in poi le preoccupazioni dei governi si sono sempre focalizzate sul Senato in cui le maggioranze erano meno stabili e più risicate.

A questo punto coi partiti alleggeriti dalle ramificazioni territoriali e la rappresentanza parlamentare allontanata dai territori anche per la riduzione del numero dei parlamentari il governo è già arbitro mal controllato del gioco politico.

Per metterlo al riparo da scossoni e assolutamente fuori controllo serve soltanto depotenziare la Presidenza della Repubblica e sterilizzare la possibilità che il Parlamento tolga la fiducia.
Se entrasse in vigore la proposta di revisione costituzionale del governo Meloni, il Premier verrebbe eletto insieme al Parlamento (votato con la stessa scheda – come già i sindaci) ed i partiti che gli sono collegati otterrebbero il 55% dei seggi, anche se alle urne non avessero la maggioranza assoluta.

A questo punto, superando la sensazione di deja vu nel Ventennio, viene spontanea una domanda: con un architettura siffatta, quanto conta la volontà di un cittadino?

Basta guardare a quello che hanno prodotto i governi “stabili”: peggioramento delle pensioni, partecipazioni a guerre non volute dalla maggioranza dei cittadini, mancata lotta all’inflazione, mancata cura del territorio e contemporanei tentativi di mettere in cantiere opere faraoniche come il Ponte sullo Stretto di Messina. E tutto questo senza il rischio di essere ‘mandati a casa”.

Con la riforma Meloni si eliminerebbe anche la pallida possibilità che di fronte ad un disastro conclamato i parlamentari sfiducino il governo, inducendo il Presidente della Repubblica a nominare un altro Presidente del Consiglio.

È quello che vogliono gli italiani?

Se questa maggioranza approvasse questa revisione della Costituzione, lo vedremo al referendum.
Noi voteremo NO.

Il contrario di quello che stanno facendo.

Dall’Africa si emigra, le persone fuggono la sete, la fame, le malattie le guerre.
Purtroppo la maggior parte dei mali da cui scappano gli emigranti derivano dalle attività passate e presenti degli occidentali.

L’africa è stata per tanto tempo un luogo da cui estrarre materie prime al minor prezzo e piu di recente il luogo in cui portare gli scarti ed i rifiuti pericolosi.

In più l’africa è uno dei luoghi in cui il cambiamento climatico ha fatto piu danni, a cominciare da siccità e desertificazione.

Perciò l’espressione aiutiamoli a casa loro è intrinsecamente falsa ed ipocrita: l’aiuto maggiore per i popoli africani sarebbe lasciarli in pace. Inutile dire che le multinazionali occidentali non hanno alcuna intenzione di farlo.

Il fatto è che l’Occidente ha bisogno delle materie prime dell’Africa, ma non vuole le conseguenze critiche della propria attività.
I migranti possono essere accolti solo nella misura in cui possono essere utili: così dopo aver sfruttato le materie prime africane possiamo sfruttarne anche la popolazione.

Ma chi può condannare i giovani che dai paesi subsahariani partono all’avventura per fuggire a una vita impossibile?
Può farlosolo quella politica che ha trovato nei migranti il capro espiatorio su cui focalizzare le attenzioni dei popoli europei, a disagio per l’indebolimento dell’attività degli Stati, a cominciare dalle attività di coordinamento e regolazione della società. Il sistema economico dominante vuole stati deboli e o complici

Una società in cui il sistema economico spinge tutti contro tutti verso una competizione senza regole. Una società rinselvatichita in cui ciascuno prende ciò che può senza rispettare l’altro, in cui omicidi e violenze wulle dinn o sui piu indifesi vengono filmati e ostentati sui social. Però per le persone è tanto più rassicurante proiettare fuori dal “noi” verso il nuovo arrivato le proprie paure. In Queste narrazioni il migrante diventa il nemico perfetto.

Questa narrazione, però, ha un difetto: non può indicare una soluzione stabile. Ecco che si trova il super nemico negli scafisti, nei trafficanti di esseri umani, che gestiscono la migrazione. Ignorando che scafisti e trafficanti si limitano a trarre profitto parassitario da dinamiche che preesistono a loro e che ci sarebbero anche senza di loro: i ragazzi verrebbero via dai Paesi africani anche se non ci fossero trafficanti, anche se non ci fossero scafisti.

Se anche l’Occidente smettesse qui ed ora di sfruttare i territori africani (e non sembrano proprio intenzionato a farlo) per effetto di una sorta di inerzia, e prima che la vita neinpaesi di partenza migliori sensibilmente, oper qualche tempo le persone continuerebbero a partire dalle proprie case, in cerca di una vita migliore.

Per questo la soluzione non è trattenere I migranti di là del mare: la soluzione è eliminare i fattori che li spingono a partire e nel frattempo gestire i flussi di persone, che non possono essere fermati nei campi di concentramento. Né in quelli libici né in quelli Turchi né in quelli italiani o greci. E gestire quei flussi significa organizzarsi e accogliere provando ad integrare. Proprio il contrario di ciò che stanno facendo.

Il bello è che i cittadini sono spesso più avanti dei governi: un esempio chiarissimo sono stati i cittadini di Lampedusa, che hanno solidarizzato concretamente con I migranti.

Per questo abbiamo avviato una raccolta di firme su change.org per chiedere che agli abitanti dell’isola di Lampedusa venga conferito il premio Nobel per la pace.

Questo è il link:

https://www.change.org/Il_Nobel_ai_Lampedusani_gente_di_Pace

Ma alla fine a chi interessa la sicurezza sul lavoro?



Avere interesse per qualcosa e interessarsene, averne cura, sono due questioni diverse: la differenza tra l’una e l’altra è misurata dalla consapevolezza dell’importanza della questione per sé.

Purtroppo non pare esserci alcuna consapevolezza dell’importanza della sicurezza sul lavoro.

Non ne sono consapevoli gli imprenditori, altrimenti non spingerebbero i lavoratori a fare prima a rischio dell’incolumità (vedi Brandizzo), non toglierebbero i presidi di sicurezza dai macchinari per ridurre i tempi di lavorazione (ricordate Luana D’Orazio?) e cosi via.

Non ne sembrano consapevoli i lavoratori, che sanno di dover mettere imbragatura e casco mentre stanno sui ponteggi, ma spesso non li mettono, sanno che è obbligatorio essere autorizzati prima di salire sui binari per la manutenzione, ma pur di lavorare accettano di cominciare il lavoro prima che arrivi l’autorizzazione.

Non interessa agli uffici deputati alle ispezioni: se non sono destinati ispettori per i controlli non è certo colpa loro: si controlla ciò che si può, consapevoli che l’incidente può succedere ovunque ed in ogni momento, ma la responsabilità non può ascriversi ad un ufficio svuotato di risorse e senza mezzi.

Non interessa al politico, disposto ad approvare una legge da rivendicare in TV, ma indisponibile a perdere i voti delle imprese incrementando realmente i controlli per fare applicare le leggi. Né vuol perdere i voti dei lavoratori lasciati a casa da un’azienda che chiude, non accettando la riduzione dei margini di profitto.

Questo disinteresse per la sicurezza è solo in parte una scommessa sulla propria fortuna; è più uno dei sintomi del diffuso schiacciamento sul presente: qlla domanda “e se domani..?” “Spesso si risponde “ci penserò domani”.

Ma allora la battaglia per la sicurezza va combattuta in sede formativa. Non solo durante l’addestramento sul lavoro, o nella formazione continua. Deve iniziarsi a scuola. Da bambini.

Anche perché la cultura della sicurezza non riguarda solo la sicurezza sul lavoro, ma anche la sicurezza stradale, la sicurezza dei consumatori e questo sforzo va fatto dallo Stato, perché la società di oggi vive di effimero. Altro che sicurezza!

Se ci sarà consapevolezza , dell’importanza della sicurezza, allora cambierà tutto l’approccio.

Ma serve una forza politica che si faccia carico di questo bisogno di consapevolezza, perché, come si diceva sopra, al momento pare che in giro non interessi a nessuno. Al di là dell’ipocrisia delle dichiarazioni.

la nostra proposta per il XXI secolo.

La Democrazia, il governo del Popolo, funziona bene tra uguali. Una società è danneggiata dalla presenza di persone troppo povere come dalla presenza di persone troppo ricche, perché nell’esprimere la propria volontà, i propri voti, chi è troppo povero è ricattabile e chi è troppo ricco ha la concreta possibilità di cambiare le regole (durante la partita) quando e come vuole. 

L’obiettivo centrale è curare la società dagli eccessi, dalla miseria e dalla opulenza, anche perchè storicamente l‘equilibrio è il presupposto delle società più sviluppate, più armoniche, più felici.

Ma l’uguaglianza non può essere né totale né imposta dall’alto: le persone non sono tutte uguali, anzi sono tutte diverse l’una dall’altra: differenze di tutti i generi, gusti, desideri, sensibilità. C’è chi vuole disporre di più cose – e per questo è disposto a un maggiore impegno – e chi preferisce più tempo libero. Ci sta. C’è anche chi parla di merito, ma questo termine ha senso solo a parità di condizioni e nell’ambito di processi semplici, senza condizionamenti esterni, condizioni che nelle complesse realtà sociali non si verificano mai.

È giusto che chi vuole impegnarsi di più sia libero di farlo e di raccogliere il frutto del proprio lavoro. Però la libertà di fare di più, se non è regolata, spinge naturalmente verso l’inasprimento delle disuguaglianze: chi ha ottenuto un vantaggio tende a stabilizzare i risultati ottenuti, magari per trasferire questi risultati ad altri, i figli per esempio, che così possono   avvantaggiarsi anche senza sforzi propri. 

Qui deve intervenire la spinta riequilibratrice dello Stato, per evitare che la ricchezza diventi un vantaggio incolmabile. Per questo la Costituzione dice che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. 

Tutti hanno diritto a scuole pubbliche e ad università gratuite e funzionanti, perché tutti hanno il diritto di concorrere alla pari ai ruoli sociali di maggiore responsabilità e prestigio.

Tutti hanno diritto al lavoro – pagato tanto da poterci vivere dignitosamente – per avere un ruolo attivo al funzionamento della società.

Tutti hanno diritto a cure mediche gratuite tempestive e di buona qualità, per essere liberi dal timore che una malattia non possa essere curata o li porti alla rovina propria e delle proprie famiglie. 

Sappiamo che il progetto della Costituzione non si è mai realizzato appieno per la resistenza di settori politici e sociali conservatori, ma tale obiettivo rimane il nostro per questo XXI secolo, anzi oggi è più urgente ed è anche più raggiungibile per effetto delle enormi innovazioni tecniche avvenute. 

Alcune riforme sono diventate urgenti, per evitare che l’acuirsi delle sofferenze sociali porti ad una situazione irriformabile. Il fatto che non ci siano alternative risulta  naturalmente inaccettabile per chi nell’attuale stato di cose sopravvive a malapena.

Ma per realizzare qualsiasi riforma bisogna  ricostruire la macchina della Repubblica: Stato Regione ed Enti locali. E’ attraverso queste strutture che  si possono mettere in atto i cambiamenti necessari. Serve un settore pubblico che funzioni veramente, dalla Sanità alla Scuola, all’Assistenza sociale, alla manutenzione del Territorio, alle funzioni di controllo. Oggi non è così. Le amministrazioni pubbliche da più di  30 anni sono state messe nelle condizioni di non funzionare, disattivate: il blocco del turn over ha ridotto e fatto invecchiare il personale e questo stesso personale spesso non ha fruito di aggiornamenti e formazione. La peggiore politica clientelare ha fatto di tutto per infiltrarlo e condizionarne impropriamente l’attività.

Le pubbliche amministrazioni devono tornare nelle condizioni di funzionare, essere messe in grado di utilizzare al meglio le tecnologie dell’informazione e per questo servono funzionari pubblici giovani e preparati, selezionati con concorsi pubblici e destinati a rimanere impiegati stabilmente, al fine di disporre di organizzazioni efficaci al giusto costo. 

Certo la riattivazione della macchina pubblica ha un costo non indifferente. 

Che fare? Bisogna invertire la rotta: ad oggi Stato ed enti pubblici non riscuotono il necessario per funzionare e in più spendono troppo per acquistare beni e servizi, spesso di cattiva qualità. Il dissesto della macchina pubblica non era inevitabile e non è stato casuale. Neutralizzare gli uffici pubblici é stato funzionale alla riduzione di tutti i controlli: sulla riscossione dei tributi, sul rispetto degli spazi e dei beni comuni, sull’ambiente.

Per finire, la neutralizzazione degli Uffici pubblici è servita per offrire all’economia privata proficue occasioni di guadagno, sostituendosi al Pubblico: dalla Sanità alla Scuola, dalle Università alla distribuzione dell’acqua alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro, financo alla vigilanza del territorio. Inoltre la politica usa gli uffici pubblici per coltivare il consenso, ponendosi come rimedio “ad personam” per superare le lungaggini burocratiche create dalla stessa politica con norme ambigue, quando non contraddittorie.

La riappropriazione di spazi di attività da parte del settore pubblico non significa negazione dell’iniziativa privata. Questa, se operata nel rispetto dei diritti dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente è un elemento prezioso di pluralismo e di autonomia individuale. e come tale può svolgere un’importante funzione nell’innovazione dei prodotti e dei processi. Essa non deve essere caricata di costi di assistenza, che devono essere pubblici perché universali e non deve essere assistita da fondi pubblici sotto forma di contributi a fondo perduto, di agevolazioni incondizionate e di altri supporti che gravanti sulla spesa pubblica. 

Inoltre l’iniziativa privata sarebbe avvantaggiata da una macchina pubblica efficace, da controlli veloci, capaci di bloccare le forme di concorrenza sleale e da una veloce e precisa amministrazione delle controversie.

Seguiteci. vi proporremo le nostre priorità.

Just “pro reo”?



Come chiamare il fenomeno per cui la vittima è colpevolizzata per l’evento dannoso subìto?
Il neologismo vittimicidio è gia stato creato per descrivere l’atteggiamento diffuso nella cultura patriarcale per le fattispecie che colpiscono le donne, intimidite, zittitte, maltrattate, violate, perché sarebbero state petulanti, arroganti, inquiete, provocanti.

Ma a ben vedere nel nostro Paese è in voga (e sedimentata) una cultura in cui l’Autorità è flebile e inefficace, quando non addirittura complice: il colpevole viene di fatto lasciato impunito, quando non ammirato per la sua audacia.

Come spiegare altrimenti il Fascismo, il Berlusconismo o il Renzismo?

In Italia siamo lontani dalla bigotta ipocrisia americana: Mussolini poté addossarsi in Parlamento la responsabilità politica dell’assassinio di Matteotti, il Parlamento votò che Ruby era la nipote di Mubarak e Renzi è ancora in Parlamento nonostante abbia silurato Letta dopo averlo rassicurato sul suo appoggio – “Enrico stai sereno” – ed essere stato bocciato al referendum costituzionale del 2016 “se perdo mi ritiro dalla politica”.

In Italia si depenalizza il falso in bilancio, si condonano abusi e cartelle esattoriali, si garantiscono (i colletti bianchi), ci si lamenta per le indagini della magistratura quando riguardano una persona di ceto borghese (senza integrare il personale giudiziario).

In Italia si promuovono o si lasciano al lavoro poliziotti e carabinieri implicati in indagini su fatti gravissimi (es. G8 di Genova, caso Cucchi, etc). In italia i responsabili della morte di giovani lavoratrici subiscono condanne irrisorie.

Gramsci aveva correttamente indicato nell’indifferenza il male dell’Italia, un paese pieno di Don Abbondio laici e no. Gramsci è morto senza sentire la sentenza per cui c’è stata si una trattativa con la mafia ma “a fin di bene”.

In un Paese siffatto i casi dei Matteotti, dei Gramsci, dei Libero Grassi, dei Falcone, dei Borsellino sembrano servire più come esempi da evitare che come modelli da seguire.

In questo scenario esempi come quello di Ilaria Cucchi sembrano alieni: “si è stata brava, ma io non avrei insistito tanto” e comunque queste persone vengono sfruttate,  diluite, dissipate in realtà tutte italiane, in normali come Sinistra Italiana (appunto) insieme ai Sumahoro.

Quindi abbiamo – è giusto dirlo – persone che denunciano: denunciano auto in doppia fila che gli impediscono di uscire dal parcheggio, o ex compagni stalker, denunciano abusi di datori di lavoro disonesti, o intimidazioni di funzionari concussori, denunciano minacce di estortori mafiosi e ndranghetisti,
Ma poi queste persone non ottengono giustizia e neanche sono protette dalle ritorsioni.

Hanno la colpa imperdonabile di essere vittime e di chiedere giustizia e protezione allo Stato.

Perché è lo Stato il grande malato italiano: è malato di debolezza fino all’esanimità. Esanime appunto, senza spirito né volontà. In Italia la trama delle relazioni superfamiliari si esplica in organizzazioni  che, quale che ne sia la natura teorica, tendono a configurarsi come clan, in senso antropologico: qualcosa di prepolitico in cui le relazioni personali e familiari superano in forza e funzione le relazioni formali dichiarate. E questo avviene nelle associazioni e nei sindacati, nei partiti e nelle comunità parrocchiali, nelle Massonerie e nell’Opus dei.

Prima i miei associati, però (per cerchi concentrici) dopo i miei amici, i miei parenti, la mia famiglia, i miei figli.

Questi non sono problemi che si risolvono facilmente o brevemente, ma, se individuati e riconosciuti, possono essere curati. E va fatto. Per rendere il nostro paese abitabile, anche per le vittime. Tutte.

Innescare la cittadinanza

La vera ricchezza dei popoli sono le persone.
È anche un fatto di numero (una popolazione che si va riducendo e va invecchiando è un problema enorme), ma pur importante il numero è marginale.
È la cultura che trasforma una persona in una forza capace di cambiare le cose, con le idee, la fantasia e la capacità di aggregare altre persone sul lavoro per il raggiungimento di un obbiettivo comune. Ciò perché la cultura è il prodotto delle relazioni con gli altri e con l’ambiente.

Ma perché questa forza sia realmente potente, deve essere innescata: la persona deve diventare pienamente “animale sociale”, cittadino. 

Per questo la #scuola è così importante per un Paese. Una scuola capace di formare persone capaci di relazionarsi col contesto in cui si muovono; contesto che oggi è estremamente fluido e cangiante e per questo richiede robustezza interiore e capacità di adattamento. Ma la scuola deve coltivare anche la disposizione a relazionarsi con gli altri, aiutando a generare interesse e #rispetto per le persone con cui si viene a contatto, coi loro punti forti ed i loro bisogni.

Dalla scuola e dalla sua naturale prosecuzione nelle attività culturali devono nascere le basi su cui costruire la crescita civile e umana delle persone e collettivamente la capacità di un Popolo di esprimere rappresentazioni del mondo capaci, di generare forme di #simbiosi armoniche con l’altro da sé a cominciare dall’ambiente.
Una società che  dà modo a ciascuno di esprimere ogni potenzialità e per questo una società siffatta è capace di  innovare, di evolversi e di resistere alle avversità.

Anche per questo la scuola dev’essere molto, molto di più di una agenzia di preparazione al lavoro: dev’essere una fucina di persone serene, capaci di comprendere il modo e gli altri, capaci di risolvere problemi.

Si. Serve un polo popolare!

C’è un pezzo di Italia che si è stancata di veder partire i figli in cerca di lavoro e di veder dare la colpa ad altri figli scappati dalla fame e dalla guerra che cercano riparo da noi.

C’è un pezzo di Italia che vorrebbe che le tasse fossero destinate ad ospedali e scuole che funzionano e non a cliniche e ad ambulatori privati.

C’è un pezzo d’Italia che vorrebbe controlli pubblici funzionanti sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza.

C’è un pezzo d’Italia stanca di aspettare un futuro migliore e che sta al lavoro fino a 67 anni, guardando i figli precari fino a 40 anni.

C’è un pezzo d’Italia stanca di vedere i milionari spiegare ai poveri che essere poveri è colpa dei poveri e chiedere di pagare sempre meno tasse.

Questa Italia l’hanno costruita Letta e Salvini Renzi e Meloni con Berlusconi a fare da ispiratore.
Ognuno ci ha messo il suo pezzettino.

Gli italiani stanno male e i furbacchioni fanno demagogia strumentalizzando le questioni come migrazioni, Unità Europea, debito pubblico ed evasione fiscale, usandole come clave anzichè curarle.

Intanto le tasse sui ricchi sono state abbassate e le tasse sui poveri sono state aumentate: giù le tasse di successione per i grandi patrimoni su le tasse sulla benzina che paghiamo tutti.

Il m5s ha ottenuto la realizzazione del primo aiuto importante per i poveri: il reddito di cittadinanza e si è intestato un’agenda sociale importante distante dall’agenda Draghi che gli altri partiti vogliono continuare a seguire e si è dichiarato contrario a spedire le armi un Ucraina e ad aumentare le spese militari.

Perché il m5s non si impegna in questa battaglia con coloro che queste priorità le hanno da sempre? Perché non si crea un polo popolare – veramente popolare – con Unione popolare? Che ci fanno Sinistra Italiana e i Verdi con Calenda ed i nuclearisti? Santoro e Montanari vogliono impegnarsi? Benissimo!

Il m5s rimetta in campo la volontà di partecipazione popolare che lo ha fatto nascere e partiamo.
Non è detto per nulla che debba vincere la Destra con le sue falsità.

Ma se lasciamo il PD a difendere l’esistente, quel pezzo d’Italia di cui parlavamo non andrà a votare e la colpa sarà di chi ha chiuso gli occhi ed ha chiesto ancora fiducia per l’ennesima fregatura!

Sbilanciata e diseguale

Vi sarete accorti che nella nostra società ci sono cose che non vanno bene.

In tanti si sono esercitati ad elencarle, per convincere chi ascolta di avere capito i suoi bisogni.
Sulle soluzioni invece si tende a glissare, perchè necessariamente le proposte accontentano alcuni e scontentano altri.
Il risultato sono personalità e gruppi politici che criticano gli altri e sorvolano o mentono sui propri insuccessi.

La questione è pesante e difficile da risolvere, perchè i cambiamenti da fare sono imponenti: la Repubblica italiana (Stato+Regioni+enti locali) preleva in imposte e tasse molto di più di quanto restituisca in servizi al cittadino. Questo perchè una parte consistente di imposte e tasse vanno a restituire quote di debito contratto coi privati e a pagare interessi a tassi di mercato.

In più per pagare quelle imposte non viene chiesto a tutti lo stesso #sacrificio:
lavoratori dipendenti e pensionati pagano tutto. Imprenditori e liberi professionisti in parte: i lavoratori a partita iva pagano tutto; i piccoli professionisti e le microimprese si fanno uno sconto più o meno consistente; i grandi studi professionali e le imprese medie e grandi, che possono fruire di competenze piu importanti per ridurre le imposte, pagano poco. e si lamentano più di tutti.

Per finire la rassegna, la spesa pubblica segue una ripartizione altrettanto iniqua: il welfare pubblico viene amministrato col contagocce. Scuola e sanità pubbliche, pensioni e servizi ai meno abbienti sono sottoposti a tagli continui di fondi e peggioramenti qualitativi e quantitativi dei servizi. Classi scolastiche di trenta e piu alunni, Ticket per i farmaci, tempi biblici per gli esami diagnostici, riduzione di posti letto, pensioni piu basse, ottenute sempre piu tardi

Invece la spesa pubblica per le imprese – specialmente quelle grandi – è considerata spesa virtuosa e produttiva , perchè le imprese danno lavoro e quindi agevolazioni, sovvenzioni, concessioni e contratti pubblici convenienti (per le imprese).

Il tutto mentre negli uffici pubblici marchiati come covi di #fannulloni, non vengono assunti giovani (o se vengono assunti, sono #precari e ricattabili e gli anziani non vengono fatti aggiornare e studiare. Pare che la politica faccia il possibile perchè gli uffici pubblici non funzionino bene. Cosicché quando i funzionari hanno rapporti coi privati pendano dalle labbra del consulente o del fornitore.

In conclusione, viviamo in una società sbilanciata e diseguale, che si muove per diventare ancora piu sbilanciata ed ancora più diseguale, però a dirlo si passa per estremisti o populisti.

Queste cose vanno spiegate ai cittadini. Solo quando gli elettori capiremo che nessuno può salvarci se non cominciamo ad interessarci noi stessi di politica, solo allora potremo capire che bisogna cambiare proprio tanto e che c’è veramente tanta gente che non vuole proprio che le cose cambino.

Uniti si può. Ci si salva solo tutti insieme.

La guida di uno Stato necessita di attenzione alle questioni immediate, senza però perdere di vista i problemi strutturali e gli obiettivi a medio e a lungo termine. Se nell’immediato può apparire utile fissare particolari condizioni di prontezza operativa quale può essere lo “stato di emergenza” deliberato dal Consiglio dei Ministri in questi giorni, viene da chiedersi cosa stiano facendo i governi occidentali ed il nostro in ispecie, per contrastare la pandemia, la sua diffusione e i suoi effetti.

Ci troviamo nuovamente a fronteggiare un aumento dei contagi, nonostante tantissimi italiani si siano già vaccinati con due dosi e si vada verso la vaccinazione dei bambini. Abbiamo saputo nel tempo che i vaccini hanno l’effetto di ridurre i sintomi del COVID ma non proteggono dal contagio né il vaccinato né le persone che vengono a contatto con lui.

Pare (ma non si conoscono con precisione i dati) che il vaccinato contagi meno. E’ invece evidente che i vaccinati finiscano in ospedale più raramente e tanto più raramente finiscano in terapia intensiva. Comunque (anche a causa dei non vaccinati) gli ospedali sono molto impegnati col Covid e le varianti continuano a prodursi. Parliamo dei problemi connessi al coronavirus e per un attimo mettiamo tra parentesi i NOvax. Non sono loro l’unica criticità.

Per esempio: il covid si diffonde di più coi contatti ravvicinati, perciò le discoteche sono state tanto limitate e i raduni non indispensabili, come gli spettacoli sono stati prima bloccati e ora limitati. Le scuole hanno dovuto funzionare in DaD, privando i ragazzi della socializzazione preziosa per la loro crescita.

Possiamo chiedere cosa è stato fatto per i trasporti pubblici locali? Negli autobus e in metro ci si assembra un bel po’. Limitare il riempimento dei mezzi poteva essere una immediata risposta all’emergenza, ma non poteva essere una risposta definitiva e, infatti, oggi dopo quasi due anni non ha retto. Autobus metro e tram sono di nuovo pieni. Quanti nuovi mezzi sono stati acquistati? Quanti conduttori sono stati assunti? Quali soluzioni sono state trovate per ridurre le necessità di spostamento delle persone? È noto che il Ministero della funzione pubblica non ha lavorato per rendere efficiente il lavoro da casa ed ha preferito spingere per eliminare questa opzione, che riduceva molto la mobilità quotidiana delle persone.

Le scuole come prima della pandemia, hanno classi troppo numerose e locali inadeguati per numero e manutenzione e qualità originaria e la scuola è sicuramente fondamentale per qualsiasi ripartenza, compresa quella dopo la pandemia.

Gli ospedali sono pieni perché i malati di covid sono tanti e perché tanti posti letto erano stati eliminati negli anni. Erano stati assunti meno medici e meno infermieri. I poliambulatori pubblici erano stati chiusi e sostituiti da poliambulatori privati, molti dei quali non accessibili a tutti. Le facoltà di medicina accessibili a numero chiuso e solo previo test di cultura generale. Cosa è cambiato delle precedenti scelte in questi anni di pandemia? Il personale medico, sanitario, infermieristico e amministrativo, impiegato nelle campagne anti pandemia è stato assunto con contratti precari, vero?

Non ritiene la politica che queste persone (assunte dopo selezione) andrebbero stabilizzate?

E infine, i vaccini sono stati sviluppati con finanziamenti pubblici alle condizioni imposte dalle grandi aziende farmaceutiche, con contratti secretati, impossibili da esaminare anche per i parlamentari europei. Mettiamo da parte per un attimo la sacrosanta richiesta di trasparenza. Si ritiene di continuare a lasciare in mano alle corporation del farmaco la produzione dei vaccini e la definizione delle quantità e dei prezzi di vendita? Senza sospendere brevetti e senza attrezzare produzioni statali? Senza prendere in considerazione i vaccini di produzione pubblica a Cuba? Intanto che l’Occidente parla di terza e di ulteriori dosi, in Africa ed in Asia, in Sudamerica, ci sono milioni di persone che aspettano la prima dose. Ci sarà un motivo perché la variante Omicron è partita dal Sudafrica. E non si attribuisca la colpa alle migrazioni: le varianti sono state importate dagli imprenditori europei e americani che erano andati a fare affari nei paesi poveri.

Quindi… emergenza Di che? Se non si cambiano in profondità le regole di funzionamento del nostro sistema economico sociale, senza una politica che faccia il suo lavoro – adesso – possiamo continuare a contare le ondate. E tante persone non capiscono.

Il fenomeno novax non si combatte con la supponenza. Si combatte con le buone politiche.

Riformiamo le pensioni!

l tema delle pensioni, già in discussione da decenni e oggetto di ulteriori aggiustamenti nelle intenzioni del Governo è uno di quei temi chiave che modificano profondamente il funzionamento della società. Le prime riforme delle pensioni andavano a correggere situazioni di squilibrio evidente che avevano consentito ad alcuni lavoratori e lavoratrici di andare in pensione in un’età di grande vigore e di piena capacità lavorativa, tanto che le stesse persone spesso andavano a svolgere altri lavori in autonomia, sommando i nuovi redditi alla piccola rendita acquisita con la baby pensione.

Le ulteriori restrizioni del sistema previdenziale, anche quelle attualmente in discussione, cercano fondamento sull’innalzamento delle aspettative di vita degli italiani, che, sommato alla drastica riduzione delle nascite, stanno comportando un progressivo invecchiamento della popolazione.

Il ragionamento suona pressappoco così: giacché le fasce d’età attualmente in produzione sostengono numeri di persone pensionate molto superiori rispetto a quanto avveniva in passato e poiché il rapporto tra persone produttrici e persone in pensione è destinato a ridursi ulteriormente e progressivamente nel futuro, bisognerebbe porre rimedio, aumentando l’età di pensionamento, per ridurre il numero degli anni in cui la persona vivrà di pensione e per ridurre il peso dei pensionati sui produttori.

Il ragionamento che ho provato a descrivere appare convincente, ma parte da un presupposto dato per scontato: l’invarianza della capacità produttiva delle persone nel tempo, anche in tempi lunghissimi: come se un lavoratore che operava nel 1970 producesse quanto un lavoratore che opera nel 2020. Solo che questa equivalenza non è vera: chi guardi al lavoro negli uffici o nelle fabbriche, nella logistica o nelle vendite si rende conto facilmente di una realtà assolutamente vistosa: grazie alla innovazione tecnologica un lavoratore dei nostri tempi produce una quantità di beni o di servizi enormemente superiore a quella prodotta da un lavoratore di cinquanta anni fa.

Oggi a mandare un messaggio a migliaia di clienti basta il tempo di scrivere ed inviare un messaggio di posta elettronica. Lavoro che può fare una sola persona (due se il lavoro viene supervisionato). Bastano un paio d’ore di lavoro per scrivere il messaggio, se il messaggio è articolato e importante, e bastano pochi secondi per inviarlo.

Negli anni settanta bisognava stampare le lettere, imbustarle e portarle nel luogo di spedizione. Lì sarebbero state spedite nei luoghi di destinazione, dove sarebbero state distribuite. In caso di migliaia di destinatari si può parlare del lavoro di decine di persone , in qualche caso di centinaia.

I miei coetanei ricorderanno che il modello di vendita per corrispondenza una volta erano i cataloghi “Vestro” e “Postal Market” , oggi sostituiti da “Amazon” o “Alibaba” (per i quali oggi appare primitivo anche il sistema di ordine tramite posta elettronica).

Le fabbriche di Fiat ed Alfa Romeo degli anni Settanta con gli attuali impianti di Melfi non hanno confronti, se non, forse, nel trattamento degli operai. Quante automobili uscivano al giorno da una catena di montaggio e quante ne escono oggi? Impiegando quante persone?

Se quanto ho descritto è vero, allora la questione va posta diversamente: oggi e con l’attuale livello di strumentazione tecnologica, il sistema economico quante persone inattive può mantenere? E che età devono avere queste persone? La domanda relativa all’età non deve stupire: Oggi il sistema mantiene in produzione una parte delle persone – gli adulti occupati – mentre mantiene inattive altre persone: minori in età prescolare e scolare, inoccupati, disoccupati, pensionati. Inoltre il progresso delle tecniche induce a ritenere che il numero degli occupati potrebbe ulteriormente ridursi. I processi di automazione nelle fabbriche e l’auspicato impiego massivo della rete Internet nella gestione delle relazioni con le pubbliche amministrazioni, come è già avvenuto con le banche e altre aziende produttrici di servizi, va in quella direzione: ci sarà meno bisogno di lavoro umano.

Che le persone siano educate e formate nei primi anni della vita è cosa utile per loro e necessaria per la società, che con la scuola può dotarsi di cittadini che condividono norme di comportamento condivise (l’esperienza ci insegna che non è sempre vero che l’educazione familiare consegua modelli di relazione sociale desiderabili) quindi è assolutamente opportuno che la prima gioventù sia spesa nella formazione delle persone, che incidentalmente, se meglio formate, saranno anche produttori più capaci e consumatori più educati. Si potrebbe quindi immaginare di far studiare per più tempo i ragazzi e le ragazze.

Ma ad un certo punto sarebbe bene per la società (oltre che per loro) che i ragazzi potessero effettivamente lavorare e guadagnare in modo da affrancarsi dalle famiglie di origine e magari avviare una nuova famiglia con partner e figli. Ad oggi invece abbiamo percentuali inaudite di disoccupazione giovanile: tanti giovani adulti non hanno occupazione e se ce l’hanno si tratta di occupazione precaria, a volte estremamente precaria e spessissimo malpagata. Tantissimi giovani sono imprigionati in quella categoria dei working poors (lavoratori poveri) e non possono rendersi autonomi dalle famiglie di origine. Questa situazione ovviamente deprime la demografia del paese.

A questo punto sorge spontanea alcune domande: a chi giova mantenere inattive o sottoccupate persone di venti o trenta, o quarant’anni e, insieme, mantenere al lavoro persone ultrasessantacinquenni, fisicamente meno efficienti, meno elastiche nell’acquisizione di nuove modalità operative e, spesso, meno motivate? Per quanto tempo potranno protrarsi politiche che comprimono progressivamente la natalità, impedendo la formazione di nuove giovani famiglie? Dobbiamo immaginare un futuro in cui si entra nel mondo del lavoro a quarant’anni e se ne esce a settanta? Settantacinque anni?

Solo che per muoversi nella direzione di far entrare “in produzione” gli adulti giovani e farne uscire gli adulti anziani, bisognerebbe incrementare la spesa pubblica e coprirla con un incremento del volume delle entrate tributarie. Ma il carico dei tributi sui cittadini è già molto lalto. Per aumentare le entrate tributarie, senza rendere eccessivo il carico sui contribuenti, sarebbero indispensabili alcune riforme molto profonde: una riforma della fiscalità orientata ai redditi delle persone fisiche, seriamente progressiva ed orientata ad una lotta all’evasione seria, utilizzando efficacemente l’incrocio dei dati già in possesso delle amministrazioni pubbliche; una effettiva semplificazione delle norme fiscali, per evitare dinamiche elusive e una riforma della contabilità della redistribuzione. Trovare cioè una nuova organizzazione pubblica della previdenza che porti alla trasformazione dell’INPS da ente autonomo a ufficio statale e che affidi la copertura delle pensioni alla fiscalità generale. Direttamente sul bilancio dello Stato, eliminando contemporaneamente i contributi previdenziali così come li conosciamo oggi e riducendo il carico fiscale sul lavoro.

Così si interromperebbe la connessione tra lavoratori finanziatori del sistema previdenziale e pensionati fruitori, facendo entrare nel ruolo di finanziatori del sistema pensionistico i percettori dei redditi più alti, che tra evasione, ed elusione fiscale – anche promossa dalle riforme e dai condoni berlusconiani e leghisti – da tempo si sono visti ridurre l’imposizione fiscale.

Il processo di riforma che si ipotizza dovrebbe mantenere tutta l’attenzione necessaria alla tenuta dei saldi di finanza pubblica, ma – salvaguardando i redditi medi e bassi – dovrebbe ricercare nelle maggiori entrate tributarie, più equamente distribuite, il suo riequilibrio.

Per chiudere un ultimo accenno alla lotta all’evasione: non si capisce perché non si indichino degli obiettivi quantitativi nel recupero dell’imponibile fiscale, cui legare benefiche riduzioni di aliquote per tutti i contribuenti. “Pagare meno pagare tutti smetterà di essere uno slogan quando sarà chiaro quanto si pagherà di meno quando una quantità predefinita di evasione fiscale sarà riportata nella legalità.

Il dubbio è che nell’eterno corteggiamento agli elettori più scaltri, la lotta all’evasione sia un pio desiderio da raccontarsi a mo’ di favola ai bambini per le sere invernali.